“Non ho l’età”, per meglio conoscere e capire l’immigrazione

Pubblicato sul numero di ottobre della rivista Verifiche, articolo di Giuliano Frigeri

“Non ho l’età” di Olmo Cerri, scritto con Simona Casonato, è un film documentario selezionato in concorso e proiettato in prima mondiale al Festival Vision du Réel di Nyon del 2017. Non vorrei apparire patetico ma quando l’ho guardato mi sono commosso.

Era l’anno 1964. Enorme fu l’impatto emotivo che la canzone “Non ho l’età (per amarti)” e soprattutto l’immagine rassicurante della cantante sedicenne Gigliola Cinquetti – vincitrice del festival di Sanremo, brava ragazza che riaffermava l’importanza della castità delle giovinette, diva e insieme antidiva – ebbe sui tanti migranti italiani sparsi nel mondo in cerca di riscatto economico ed emancipazione sociale. Ragazzina che, diventata adulta, di quel successo che le rotolò addosso all’improvviso ebbe a dire: “Non ho compiuto, come la maggior parte delle mie coetanee, il consueto percorso della vita, non ho avuto un’infanzia e poi una giovinezza. Il successo mi ha impedito di crescere, nel momento in cui avevo bisogno di sicurezze c’era troppa gente che invece le chiedeva a me. Fino a 28 anni fu una vita d’inferno.” Negli anni della contestazione che seguirono questo brano assurse poi a emblema dei valori fuori moda e passatisti della cultura italiana.

Per meglio contestualizzare quel periodo è opportuno ricordare che in Italia eravamo in pieno boom economico (inaugurazione dell’Autostrada del sole, vacanze e soggiorni di massa, la Fiat 600 a portata di tutti, …) e stava maturando quella che Pasolini definì “una mutazione antropologica” (Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Il progresso come falso progresso, Giulio Einaudi editore, Torino 2005) con la costante migrazione della popolazione rurale dalle campagne ai centri industriali urbani.

Spunto determinante per questo documentario è stata la tesi di laurea magistrale della storica Daniela Delmenico dal titolo “Ammiratori italiani sfortunatamente all’estero. Lettere a Gigliola Cinquetti dalla Svizzera, 1964-1979”, un lavoro capace di sottolineare l’importanza che queste lettere possono assumere per uno studio della storia “dal basso”. In tre lustri, Gigliola Cinquetti aveva ricevuto dai suoi ammiratori oltre 140’000 lettere, che nel 2002 ha poi donato al Museo Storico del Trentino; decine di migliaia quelle dei migranti italiani nel mondo e circa quattrocento quelle provenienti dalla Svizzera. Di queste ultime, per il documentario se ne sono scelte quattro; la messa a fuoco degli aspetti salienti del vissuto di chi le scrisse avviene interrogando e coinvolgendo Carmela, Maria, Lorella e Gregorio.

Carmela era una bella ragazza di 13 anni quando nel 1965 scrisse la lettera a Gigliola. Veniva da Montauro, provincia di Catanzaro in Calabria. I suoi genitori, stagionali da qualche anno, decisero di portarla in Svizzera ch’era una bambina all’inizio degli anni sessanta. Lasciati il fratello, i nonni, gli amici, la scuola, visse i suoi primi anni in Svizzera come clandestina senza la possibilità di frequentare la scuola. Per fortuna la padrona di casa – che incontra nel filmato – l’accolse con amore e gli insegnò il tedesco e tante altre cose mentre lei l’aiutava nelle faccende domestiche e accudiva i suoi figli.
Iniziò molto presto a lavorare in una ditta di tessuti e confezioni. Era molto brava; dicevano che era nata con l’ago in mano.
La troupe del film la incontra a Bienne nel canton Berna, insieme a suo marito, nel suo negozio di tendaggi che, dopo tanti anni di lavoro sotto padrone, aveva deciso di aprire e che ora, dopo diciotto anni, raggiunta l’età della pensione, sta chiudendo con però ancora tanta voglia di vivere. La incontra anche alla festa di San Pantaleone, patrono di Montauro, il paese d’origine della famiglia, che rappresenta un’occasione gioiosa per incontrare molti altri emigranti.
Racconta del viaggio lungo e faticoso per giungere in Svizzera e dei controlli minuziosi degli emigranti al loro arrivo a Chiasso. Con il figlio Andrea, cresciuto in Svizzera, che è venuto da Londra a trovarla, si reca a visitare i luoghi dove è cresciuta e riguarda con piacere fotografie e video cassette di quegli anni. Carmela è contenta di vivere in Svizzera che è casa sua, dove sono nati e cresciuti i suoi figli, dove si è emancipata imparando a fare valere i propri diritti partecipando attivamente a un gruppo di donne e dove ha lottato per costruire un futuro sereno per la sua famiglia.
Maria era arrivata in Svizzera nel 1947. Armando, che diventò suo marito, venne a lavorare in Svizzera grazie a lei. Lavoravano nella stessa fabbrica dove si preparavano i polli per il mercato, poco fuori Zurigo. Nel 1966 scrisse a Gigliola descrivendo le giornate grigie e piovose che caratterizzano la stagione invernale in quella regione. Chiese pure aiuto finanziario per tornare a Legnaro nel Veneto, da dove erano partiti tanti anni prima, e aprire una latteria con gelateria. Adesso vive in una casa per anziani a Zurigo, dove sua figlia Gabriella va a trovarla e dove lei si racconta ricordando ancora le parole della canzone “Non ho l’età”.

Maria non ha imparato il tedesco. Gabriella invece è svizzera; qui è nata e cresciuta e si è sempre sentita a suo agio. Racconta dei bei momenti passati. Nei giorni festivi andavano in piscina, oppure
si incontravano per mangiare tutti insieme nella baracca che papà Armando, con gli amici, aveva costruito accanto alla loro casa. Nell’aria aleggiava già lo spirito intriso di xenofobia che avrebbe portato nel 1970 i cittadini svizzeri a esprimersi sull’iniziativa Schwarzenbach che intendeva limitare al 10% la presenza di stranieri in Svizzera. Se accettata dal popolo svizzero ne avrebbe comportato l’espulsione di 300’000 in quattro anni. Maria ed Armando decisero, prima d’essere cacciati, di tornare a Legnaro nel Veneto da dove erano partiti tanti anni prima. Gabriella mostra la casa dove vivevano. Maria non riuscì però a riabituarsi al nuovo ambiente e cadde in depressione. Gabriella aveva sei anni e decisero di tornare a Glattbrugg in Svizzera dove la mamma rinacque.
Papà Armando ha sempre avuto problemi agli occhi. Negli ultimi anni si era aggravato tanto e con Maria si era trasferito in una casa di cura, fuori Zurigo. Maria “vuole un gran bene” alla Svizzera ma “tiene stretto” il passaporto italiano. Ora è rimasta sola ma Gabriella va spesso a trovarla nella casa anziani dove si sente sicura e accudita.

Lorella, frontaliera da quarant’anni, racconta di sua mamma, donna solare che amava cantare e adorava Claudio Villa, Milva e Gigliola Cinquetti. Morta a 55 anni non gli ha mai parlato della lettera inviata a Gigliola. Leggendola ha il dubbio però che non sia sua mamma ad averla scritta ma la nonna che era anch’essa un’ammiratrice di Gigliola e vedeva le fatiche che faceva la famiglia di sua figlia. Venivano da Mantova e si erano recati a Locarno ma non avendo il permesso di dimora si erano dovuti spostare in Italia diventando frontalieri. A Piaggio Valmara nel comune di Cannobio, appena oltre il confine, acquistarono una casa in cattivo stato che riattarono e abitarono affrontando grandi difficoltà. D’inverno mancavano i soldi per riscaldarla adeguatamente. Il papà era carpentiere. La mamma ha svolto molti lavori, come domestica prima, in una lavanderia poi, confinata nei sotterranei di un albergo. Per questo scrive a Gigliola chiedendo aiuto. Il lavoro era duro. Lavorava senza guanti e le mani diventavano callose e perdevano sensibilità. Papà e mamma si sono ammazzati di lavoro per dare un’esistenza dignitosa ai loro tre figli. Anche il papà, come la mamma, muore giovane a 58 anni. Lascia ai figli la proprietà ma Lorella rimane sola e decidono di venderla. Lorella afferma che se potesse tornare indietro continuerebbe a studiare perché forse avrebbe avuto qualche possibilità in più. Alla fine la casa è stata messa all’asta. Lorella rimane frontaliera ma desidera iniziare una nuova vita senza rancori e rimpianti.

Gregorio è diventato sacerdote frequentando il seminario in Svizzera dal 1967 al 1972 dove è arrivato per raggiungere i suoi genitori. Lo incontriamo nel 2016 a Davoli Marina, dove vive tutt’ora, in occasione di una festa parrocchiale nella chiesa che ha costruito, grazie anche ai soldi raccolti in Svizzera. Qui suo padre aveva lavorato 24 anni, ma poi era tornato a Davoli dove “è rifiorito”; non digeriva la lingua tedesca, forse anche perché era stato prigioniero dei nazisti. In seminario si respirava l’aria delle riforme nella chiesa promosse da papa Giovanni ventitreesimo. È allora, nel 1968, che scrisse a Gigliola; la ringraziava “per il bene” che la sua voce “così pastosa e appassionata” portava agli emigrati italiani. Toccante la sua esibizione al pianoforte cantando “Non ho l’età”. Si attivò nei gruppi giovanili per contrastare l’iniziativa Schwarzenbach. Erano anni in cui si respirava un’aria ricca di xenofobia; eloquenti al riguardo alcuni spezzoni filmati di quel periodo.
Gli italiani dormivano ammucchiati in baracche pagando un affitto salato; un lettino e un armadietto per ognuno. Nel 1973 Don Gregorio iniziò la sua attività come parroco a Thalwil dove la presenza di italiani era molto alta. Non mancò una certa diffidenza nei confronti di un prete straniero proveniente dal sud Italia che parlava tedesco ma non il dialetto svizzero-tedesco. Nel documentario don Gregorio ritorna per una visita dopo 48 anni al seminario dove ha studiato. Non si è fatto svizzero e ne è dispiaciuto. Ricorda di aver celebrato la prima messa in Svizzera e di essersi poi recato nel suo paese natio a Davoli Superiore vicino a Catanzaro per festeggiare. Della Svizzera ricorda pure la discrezione e la riservatezza.

Chiedo scusa al lettore per il cenno autobiografico che segue ma per chi, come il sottoscritto, aveva 20 anni nel 1964 quando Gigliola Cinquetti, ragazzina sedicenne, vinse il Festival di Sanremo nonché l’Eurofestival di Copenaghen con la canzone “Non ho l’età”, scrivere del filmato di Olmo Cerri, è un po’ come avventurarsi nella propria autobiografia dell’età giovanile. Il perché è presto scritto. Nel 1964 mi innamorai di Romana, una bella ragazza italiana sedicenne che sei anni dopo diventerà mia moglie. I suoi genitori si erano conosciuti nella Svizzera francese dove lavoravano come stagionali. Si erano poi spostati in Ticino e appena hanno potuto – aveva nove anni – l’hanno portata in Svizzera. Quando, ieri, le dissi di questo scritto, sorridendo mi ha ricordato che i suoi colleghi di lavoro, quando seppero di noi due, le fecero trovare sulla scrivania in ufficio il disco con la canzone “Non ho l’età”. Canzone che con il giradischi portatile che ci regalammo ascoltammo a casa e fuori casa. Infatti il piccolo giradischi a batteria lo portavamo nel nostro sacco da montagna che ci accompagnava quasi tutte le domeniche nelle nostre passeggiate sulle belle montagne dell’alta Leventina . Significativa del sentimento comune nei confronti dell’immigrato – esterofobia latente che purtroppo caratterizza ancora il nostro tempo – la reazione di mia nonna quando seppe del mio innamoramento. “È una italiana, ma i suoi sono brava gente, lavoratrice” fu il suo commento. Situazioni lavorative difficili grondanti xenofobia, clandestinità e sfruttamento, condizioni economiche e famigliari caratterizzate da precarietà, povertà, solitudine, emarginazione, nostalgia, sogni, sentimenti di inferiorità, ma arricchite da tanta solidarietà, voglia di riscatto e di integrazione. Sono aspetti che accomunano le quattro storie succitate nelle quali ho ritrovato il mondo dell’emigrazione che ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere. La fortuna d’aprire una breccia nel muro di pietre dure e pesanti cementate dal pregiudizio, il privilegio di scoprire un mondo variegato, culturalmente arricchente ma soprattutto ricco di umanità.

Quanto emerge dall’indagine del vissuto delle persone interpellate, evidenzia e corrobora inoltre l’arricchimento reciproco tra la realtà socio culturale dell’ospitante (la Svizzera) e quella dell’ospitato (nel caso specifico l’Italia).
L’intento del documentario di dare la parola a chi normalmente voce non ha – entrando in empatia con i protagonisti, ascoltando e documentando la storia del loro cammino esistenziale – è riuscito rifuggendo l’enfasi e privilegiando la misura e la sobrietà. Un filmato da utilizzare quale ausilio didattico per meglio capire e conoscere la migrazione, processo storico, in qualche misura da sempre in atto, fenomeno politico e sociale – sotto forma di immigrazione in Europa – di stretta attualità. Educare alla cittadinanza significa anche questo.

Interessante e didatticamente utile la documentazione a disposizione in rete (www.nonholeta.ch) con diversi materiali di approfondimento.

Giuliano Frigeri

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