Dove tutto è cominciato

Ci sono voluti anni per ideare, sviluppare e infine realizzare questo progetto, tanto che tentare ora di rintracciare la scintilla prima da cui tutto è scaturito risulta persino difficile. Soprattutto perché il lavoro è nato e si è affinato nel corso del tempo seguendo stimoli arrivati in momenti e modalità diverse. L’aver trovato a un certo punto un unico comune, e per noi coerente, denominatore ci ha spronato a continuare nel viaggio intrapreso. E ad arrivare fino a qui.

In questi ultimi anni abbiamo assistito (e stiamo tuttora assistendo) a fenomeni migratori importanti e drammatici che hanno avuto/hanno luogo anche nei nostri paesi, la Svizzera e l’Italia. Fenomeni certo difficili da governare ma che spesso sono stati ridotti, dalle forze politiche più avvezze a solleticare gli istinti più bassi della popolazione, a una rischiosissima dicotomia, quel terribile “noi” e “loro”, destinata ad allontanare anziché avvicinare la prospettiva di una reale integrazione. Come se la Svizzera non avesse alle sue spalle una storia di terra di immigrazione e l’Italia non ne avesse una a sua volta di terra di emigrazione. Come se quanto sta accadendo oggi, non solo in Italia e in Svizzera, ma in tutta l’Europa, non ci parlasse di una nostra storia recente, recentissima.

È come se i nostri due Paesi avessero dimenticato il proprio passato. Eppure basterebbe volgere lo sguardo solo a pochi decenni fa, all’inizio degli anni Sessanta, quando migliaia di migranti italiani in fuga dalla povertà si presentavano alla dogana di Chiasso per entrare in Svizzera e rincorrere così un sogno di benessere, o almeno di tranquillità, per sé e la propria famiglia. E allora forse tornerebbe alla mente che gli italiani non sono sempre stati considerati, come oggi, campioni di integrazione, anzi. E che per un lungo periodo hanno vissuto sulla propria pelle l’ostilità, il disprezzo, il pregiudizio delle popolazioni autoctone. Che per un lungo periodo sono stati considerati soltanto “braccia” da sfruttare quando e come meglio si poteva, senza pensare che quelle braccia erano prima di tutto persone. Persone con sogni, speranze, legami affettivi. Come sono persone quelle che oggi, in fuga dal Sud del mondo, vengono bloccate alle frontiere europee o confinate in strutture più simili talvolta a prigioni che a veri centri di accoglienza. Perché non mostrarlo nuovamente, allora, questo nostro passato prematuramente dimenticato? Chissà che non riesca a stimolare una riflessione sul presente che anziché allontanare magari avvicini quel “noi” a quel “loro”?

Una volta stabilito il tema e i confini temporali della nostra ricerca – la grande migrazione che coinvolse Svizzera e Italia negli anni del boom – ci siamo concentrati su un aspetto in particolare, l’elemento “umano”, “emotivo” del “fenomeno storico”. Abbiamo perciò iniziato a documentarci sulle conseguenze dell’emigrazione sugli individui che ne sono protagonisti: la vita in una realtà completamente differente da quella in cui si è cresciuti, molto spesso in condizioni precarie, la lontananza dal proprio nucleo affettivo, la famiglia, gli amici, o addirittura la vita in clandestinità, sorte toccata a molti famigliari di migranti italiani che, per le leggi vigenti allora in Svizzera, non avevano diritto di portare e tenere con sé la famiglia.

Durante questa prima fase di ricerca e approfondimento, poi, ci siamo imbattuti in un articolo  pubblicato sul sito dell’Associazione ticinese degli insegnanti di storia in cui veniva raccontato il lavoro di una brillante studentessa ticinese, Daniela Delmenico, che nella propria tesi  aveva affrontato l’argomento “migrazione italiana nel mondo” in una chiave assolutamente originale. La storica aveva analizzato la situazione materiale ed emotiva di diverse centinaia di migranti italiani “sfortunatamente all’estero” utilizzando le lettere che questi avevano inviato a Gigliola Cinquetti, diventata una celebrità in tutto il mondo dopo la vittoria a Sanremo con Non ho l’età (per amarti). Quale migliore materiale delle parole degli stessi protagonisti per raccontare “l’elemento” umano del fenomeno migratorio?

La visita al Museo di Trento, dove queste lettere sono tuttora custodite, è stata la chiave di volta dello sviluppo del nostro lavoro. Tra le migliaia di lettere che i fan indirizzarono alla cantante veronese, oltre ai complimenti ammirati e alle profferte amorose, abbiamo trovato dettagli, particolari che raccontano molto della condizione di chi quella lettera aveva scritto. Le difficoltà della vita da migrante, le frustrazioni ma anche le gioie, le difficoltà quotidiane e i momenti di evasione, le malattie e i problemi pratici ed economici.

Partendo dalle lettere che più ci hanno colpito, poi, abbiamo iniziato una caccia al tesoro, alla ricerca di coloro che, cinquant’anni fa presero in mano una penna e, spesso con grafia traballante, confidarono alla giovane cantante veronese la loro storia di migrazione.

Il frutto di quelle ricerche è quello che state per vedere nel documentario.

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