La Rivista di Lugano

La Rivista di Lugano (18 novembre 2017) su Non ho l’età. Articolo di Roberto Guidi.
Cara Gigliola, aiutami tu! Al cinema dal 30 novembre!

 


«Non ho l’età» è il titolo del più famoso brano di Gigliola Cinquetti, ma anche quello di un film del regista luganese Olmo Cerri. Racconta la storia di quattro emigrati italiani in Svizzera che negli anni sessanta avevano scritto proprio alla cantante veronese chiedendo un concreto aiuto per superare le difficoltà economiche della vita in terra straniera.

Si stima che una cinquantina di anni fa, al culmine della grande ondata migratoria, in Svizzera vi fossero circa 500mila italiani, tra cui Carmela, Gregorio, Gabriella e Lorella: storie diverse e parecchi denominatori comuni. Per loro e i connazionali la vita spesso non era facile, anzi raramente lo era, complice la lontananza da casa, il lavoro duro, l’ostilità di una parte della popolazione elvetica nei confronti della manodopera estera, l’iniziativa Schwarzenbach… La nostalgia si combatteva anche con la musica, e nel 1964 tutti restano folgorati da una giovanissima cantante veronese, Gigliola Cinquetti, che vince il festival di Sanremo con il brano «Non ho l’età».
«Grazie al suo aspetto rassicurante, Gigliola fece breccia nel loro cuore, come in quello di tantissimi altri migranti nel mondo. Una bandiera di quell’Italia, ormai alle loro spalle, simbolo di identità nazionale, e diventata improvvisamente oggetto di vera e propria venerazione. Senza esagerare, era vista come la Madonna, qualcuno a cui rivolgersi per migliorare la propria condizione». Olmo Cerri, che negli anni sessanta non era ancora nato, non parla per sentito dire. Ha toccato con mano scoprendo un incredibile mondo sommerso che ha voluto portare a galla.
Tutto nasce dalla testi di laurea della storica malcantonese Daniela Delmenico intitolata «Ammiratori italiani sfortunatamente all’estero» che parla delle lettere inviate a Gigliola Cinquetti dagli italiani in Svizzera. «Ho scoperto che presso l’Archivio popolare di Trento, il quale conserva una serie di fondi diciamo particolari, dal 2001 giacciono 150mila lettere che la cantante ha ricevuto dai fan nel corso della sua carriera. Una grandissima parte proviene dall’Italia e gli autori le facevano complimenti, volevano fotografie e autografi, ma c’era anche chi chiedeva soldi, aiuti, vestiti, chi raccontava la propria condizione di italiano all’estero. Insomma, lettere spesso disperate con interessanti spunti narrativi».

Olmo capisce subito le potenzialità del materiale e vi si getta a capofitto. «Per una decina di giorni ho scandagliato il fondo leggendo migliaia di lettere e scegliendone una decina. Poi ho ristretto il campo a quattro scritti della seconda metà degli anni sessanta e steso la storia del documentario, girato tra il 2015 e il 2016». Un percorso non semplicissimo. «Risalire alla precisa identità degli autori non è stato evidente, sia per casi di omonimia sia perché nel frattempo hanno cambiato indirizzo. Una volta trovati li ho dovuti convincere, al telefono, a partecipare al film, spiegando il progetto e guadagnandomi la loro fiducia». Una volta ottenuta, il percorso si è fatto in discesa: raccontano cos’è successo in questi decenni attraverso un viaggio che tocca i luoghi di provenienza della famiglia, quelli dove hanno abitato, la scuola, i posti di lavoro, ecc… «Raccontano, con disponibilità e generosità, anche le cose più difficili e intime».
Senza svelare troppo della trama – e rimandando alle imminenti proiezioni nei cinema (vedi articolo a lato) – diciamo che Carmela aveva seguito i genitori in Svizzera, dove per anni ha vissuto da clandestina e dove, con pazienza e tenacia, ha posto le basi per la costruzione della sua famiglia e della sua professione; oggi i suoi figli sono a loro volta emigrati, a Londra per studiare. Don Gregorio, giovane seminarista a Coira, animatore di attività nelle «baracche», dopo vent’anni di servizio nelle parrocchie del Canton Zurigo è tornato in Calabria per occuparsi della sua comunità e dei migranti africani. Gabriella, nata in Svizzera da genitori veneti, ha seguito mamma e papà nel loro fallito tentativo di rientrare in Italia e ora vive a Zurigo dove gestisce un’enoteca. Lorella e i suoi genitori, infine, hanno cercato invano rifugio in Ticino e si sono consumati di lavoro senza raggiungere il benessere tanto desiderato; abita a Piaggio Valmara e fa la frontaliera.

«Quattro storie molto diverse che parlano di speranze, sogni, solidarietà ma anche di chiusura, xenofobia, clandestinità e sfruttamento». Quattro storie, ahinoi, più attuali che mai. «Certo, oggi l’emigrazione è drammaticamente all’ordine del giorno. La storia si ripete, e nel film questo aspetto emerge soprattutto quando siamo con don Gregorio: è cresciuto come migrante e oggi, in Calabria, si occupa dei disperati che arrivano dall’Africa».
In «Non ho l’età», Olmo sente un po’ di profumo d’autobiografia. «Non posso far finta che questa storia non mi appartenga: pur se luganese dalla nascita, sono nipote di migranti veneti in Svizzera». Lasciare la propria terra e partire all’estero è sempre una decisione dolorosa figlia di situazioni difficili. «In che modo le scelte politiche di una nazione vanno a influenzare i percorsi esistenziali dei singoli? Penso che questo tema – già esplorato da molti altri registi in opere di indubbio valore – se affrontato da un punto di vista nuovo e originale, come quello che ci proponiamo di offrire con questo nostro lavoro, possa fornire materiale di riflessione e spunti importanti per lo spettatore».
Olmo Cerri guarda in profondità. «Ho voluto anche riflettere su una certa “mitologia” che ammanta il trascorso del nostro Paese, aperto e accogliente come ci piace ripetere. Facendo mia la massima del cineasta germanico Rainer Werner Fassbinder – “Ciò che non siamo in grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo” – vorrei provare a portare un piccolo contributo alla narrazione del nostro passato recente, anche perché è proprio dalla sua analisi che possiamo relazionarci in maniera più serena ed equilibrata ai nuovi flussi migratori».
Dal momento che partire è spesso una pressante necessità e accogliere chi si trova nella tempesta un dovere, «Non ho l’età» vuole essenzialmente lanciare un messaggio di speranza. «Emigrare e integrarsi non è affatto scontato, ma ce la si può fare, magari non subito ma nel giro di una generazione o due. E alla fine ci guadagnano tutti. Gli italiani che scrivevano a Gigliola Cinquetti hanno generalmente migliorato la loro condizione o quella dei figli, mentre per la Svizzera sono diventati a tutti gli effetti elementi di ricchezza».

Sul grande schermo del Lux a Massagno

Dopo aver partecipato negli scorsi mesi a diversi festival in Svizzera, nel resto dell’Europa e in Canada, «Non ho l’età» (prodotto da Amka Films di Savosa) viene presentato in anteprima lunedì 27 novembre alle 20.30 al Cinema Lux di Massagno alla presenza dei protagonisti, del regista e dei produttori. Dal 30 novembre sarà poi in cartellone in una decina di sale svizzere, tra cui il Lux. Maggiori informazioni sul sito www.nonholeta.ch.
Due note per chiudere su Olmo Cerri. Nato nel 1984, dopo essersi diplomato alla Supsi come operatore sociale, ha frequentato il Conservatorio internazionale di scienze audiovisive (Cisa) di Lugano. Numerose sono le collaborazioni con la Rsi per trasmissioni culturali e d’approfondimento: oggi si occupa in particolare della regia di «Patti chiari» e «Storie». Ha firmato, tra le altre cose, quattro documentari diffusi dalla Rsi e che hanno partecipato a festival in Europa. «Non ho l’età» è il suo primo lungometraggio. www.olmocerri.ch.

 

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